"Icaro, dove sei?" gridava, "dove sei finito?
Icaro, Icaro!" gridava, quando scorse le penne sui flutti,
e allora maledisse l'arte sua; poi ricompose il corpo
in un sepolcro e quella terra prese il nome dal sepolto.
Mentre Dedalo tumulava il corpo di quel figlio sventurato,
da un fosso fangoso lo scorse una pernice cinguettante,
che sbattendo le ali manifestò la sua gioia con un trillo.
Mai vista in passato, era ancora un esemplare unico, un uccello
appena creato, ma per te, Dedalo, un'accusa senza fine.
Tua sorella infatti, ignorandone il destino, t'aveva affidato
il suo figliolo perché l'istruissi, un ragazzo di dodici anni
appena, ma d'ingegno aperto ai tuoi insegnamenti.
Questi, tra l'altro, notate le lische nel corpo dei pesci,
le prese a modello e intagliò in una lama affilata
una serie di denti, inventando la sega.
E fu lui il primo che avvinse due aste metalliche
a un perno, in modo che rimanendo fissa tra loro la distanza,
l'una stesse ferma in un punto e l'altra descrivesse un cerchio.
Preso dall'invidia, Dedalo lo gettò giù dalla sacra rocca
di Pallade, inventandosi che era caduto; ma la dea,
che protegge gli uomini d'ingegno, sostenne il giovinetto
e lo mutò in uccello, vestendolo di penne ancora a mezz'aria.
Così l'agilità che possedeva il suo straordinario ingegno
passò in ali e zampe, mentre il nome rimase qual era.
Bibliografia:
OVIDIO, "Metamorfosi"
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